Monografia di un cane
Si chiama Iosonouncane ed è il nome dietro cui si cela il progetto del cantautore sardo Jacopo Incani. Die, suo secondo album uscito nell'aprile del 2015, meritava un approfondimento.

Tra i dischi italiani usciti nel 2015 bisogna sicuramente segnalare l’album Die di Iosonouncane, pseudonimo scelto da Jacopo Incani per il suo singolare progetto musicale. Die - suo secondo album - viene pubblicato in Aprile dall’ etichetta Trovarobato di Bologna.
Iosonouncane si presenta al pubblico nel 2010 con il disco d’esordio La macarena su Roma (Trovarobato); album dalle linee istrioniche ed intimistiche allo stesso tempo in cui spiccano brani come Il corpo del reato, Summer on a spiaggia affollata e Torino pausa pranzo, e dove si capisce subito che il multistrumentista sardo di Buggerru ha un talento che non si può sottovalutare, trovandosi così di fronte a vera e propria musica d’autore e ad un tentativo ben riuscito e non grottesco di produrre qualcosa che abbia valore sia in senso artistico che in senso politico-sociale.
Con la Macarena su Roma si coglie già: la ricerca di uno stile cantautorale vivido, personalissimo - a tratti teatrale e clownesco, una certa autenticità di suoni non banali e mai melliflui, e soprattutto la letteralità di testi carichi di contenuti dal volto e dallo spessore umano, dove cantato e recitato spesso si sovrappongono dando vita a sketch che vagano sulle onde dell’irrealtà.
Se però in certi tratti la sua prima opera resta ancora acerba e incompleta, dopo cinque anni e con l’uscita di Die si può dire che Incani abbia raggiunto una variegata maturità artistica.
Pur non essendo un album pretenzioso Die è un album completo, un lavoro in cui ciò che emerge primariamente è un senso di contaminazione acustica e strutturale di ogni brano. Incani ha origine sarda, nasce e cresce in Sardegna per poi trasferirsi a Bologna, dove tuttora vive. Questo spostamento territoriale, questo salto dall’isola alla terra ferma, questo slittamento dalla veracità della sua terra alla voracità della città, dalla lentezza pura di un certo tipo di comunità alla velocità artificiale degli schemi civili della città, tutta questa diversità essenziale, insomma, tra radici e rami, è ben presente nella concezione artistica di Iosonouncane.
E’ proprio la commistione tra ciò che può essere considerato primitivo e ciò che è avanguardista perché sempre sperimentale a essere presente nei suoni del musicista di Buggerru. L’acustica mediterranea che sposa l’elettronica continentale.
Die è un album in cui loop machine e cantautorato si incontrano senza gonfiori né sbavature. Un connubio apparentemente arduo ma che Iosonouncane riesce a ricreare soprattutto grazie all’epicità ermetica di testi che - pur essendo scritti in blocchi di parole - scorrono fluidi, accompagnati spesso dagli accordi di una chitarra acustica .
Un percorso sonoro, quello di Die, che possiamo dividere in atti in cui va in scena il movimento stesso del sole, che con la prospettiva terrestre gioca il giorno e la notte con luce ed ombra a cui Incani fa corrispondere alti e bassi sonori che danzano su ritmiche di tempi dettati spesso dal respiro. Che sia rock elettronico si capisce subito dall’intro della prima traccia.
Il disco si apre con Tanca, dieci minuti di delirio ordinato in cui sembra andare scena un vero e proprio rito pagano d’iniziazione con tanto di cori apotropaici, stridii di pareti di pietra, didgeridoo aborigeni e corni strozzati. Membrane sonore che si dilatano fino a urlare, squarciando note dalle tinte cupe, alienate e distorte di un industrial rock alla Nine inch Nails , e che si alternano a momenti in cui i bassi deflagrano in esplosioni sinfoniche richiamanti le sonorità di Noah Lennox, genio di Panda Bear ed Animal Collective. (e non è un caso se gli strumenti di Lennox sono appunto voce, sintetizzatore, campionatore, e chitarre).
Oltre che un viaggio Die è visione.
Incani ci mette di fronte una Natura che ancora ci circonda mostrandosi in una fragilità che ci appartiene come uomini peninsulari. Non mancano perciò le visioni di reti di pescatori, di gabbiani, di rive, di onde, strettamente connesse a quel senso di libertà che spesso, nella deriva esistenziale postmodernista, dimentichiamo di avere e che troppe volte associamo allo schema del mare.
Ed è proprio sul concetto di libertà che è concepita Stormi, seconda traccia del disco e migliore canzone dell’album.
Stormi é un brano di folkrock italiano di una purezza acustica e stilistica che ricorda Battisti. Un canto libero per l’appunto accompagnato dall’acustica di una chitarra instancabile e lo sfondo di una sinfonia orchestrale di cori, percussioni e trombe che per certi versi rimandano alla freschezza compositiva di un indiefolkrock americano come quello della Beirut-band e dei Fleet Floxes.
La suite d’apertura di Buio, terza traccia del disco, è in perfetta linea con le caratteristiche di uno stile rock-progressive: una lucidità compositiva che richiama Oldfield ed una struttura armonica figlia della progressive italiana degli anni’70, con i suoi tempi ternari ed un cantato di urla mai fastidiose, adagiate su un corpo di note che fino alla fine del brano ci accompagnano in una danza quasi esastica che, ancora una volta, ha la sabbia come terreno e il mare come sfondo e riferimento. Oltre il suono si percepisce così anche lo spazio, il tentativo di costruzione di una distanza non artificiale bensì essenziale, tra noi e il mare.
Incani riformula la dimensione spazio-temporale dell’opera attraverso una scelta minuziosa di loop e campionature di suoni egregiamente intrecciati in un crescendo di ritmo, di alterazioni di stile, di ritorni, di pause e di respiri lunghi il tempo di una sigaretta.
I suoni si amplificano e si dilatano seguendo lo specifico intento di portare l’ascoltatore al di fuori del testo, in quello spazio, appunto, dove il giorno si fa giorno ma il Buio è sempre qui, presente sullo sfondo.
La quarta traccia è Carne, un imponente brano con cui Iosonouncane dimostra proprio questa capacità di conciliare la canzone italiana con la sperimentazione elettronica: un canto ascensionale - la voce di Incani si contraddistingue per acuti che accentuano perfettamente il senso contraddittorio di una frustrazione che si trasforma in liberazione -supportato dai già scoperti suoni dilatati e deformati dal synth e che però non smette mai di essere orchestrale in un gioco continuo tra esaltazione e attenuazione, tra carica e scarica, tra luce e battito, tra il greve e il leggero.
Come leggera e diversa è la quinta traccia non a caso anche la più breve: il percorso visionario di un cosmonauta che discende sulla terra con la sua navicella dallo spazio e possiamo così distinguere suoni tenui sincopati e robotici. Distopico e visionario è il Passaggio, sonata che cresce man mano che dal cielo si avvicina al suolo, alla terra scura che vibra come in Mandria, brano che chiude il disco.
Una perla dell’elettronica italiana contemporanea in cui Incani ha giocato con il campionatore ricreando un’atmosfera tipica dei club del Nord Europa dove il beat è ancora l’essenza e la ripetizione la marcia.
Mandria è una danza propiziatoria, che - così come costruita - potrebbe non concludersi mai.
Con Mandria termina il viaggio di Die e si ritorna proprio là, da dove siamo partiti: nel ventre di Tanca.
Questo di Incani è un lavoro rivoluzionario perché oltre i sopracitati riferimenti artistici permane nel disco una sua unicità di genere che fa di Iosonouncane forse il pioniere di un tipo di musica non ancora definito ma che, in Italia, si sta evolvendo .
Die è il migliore album italiano dell’anno fino ad ora.
Un disco elementale, romantico per certi versi, dentro le cui registrazioni si può riposare il pensiero e lasciarsi trasportare proprio dove Incani vuole portarci: in questo viaggio che termina al limite di una scogliera dove il sole batte così forte da non riuscire a distinguere il cielo dal mare; di fronte un orizzonte sfocato non perché ci sia qualche interferenza di visione o di distanza ma perché è l’uomo stesso, con la sua fragile corporalità e la sua primordiale dannazione adamitica, l’uomo con tutte le sue mancanze, ad essere diventato l’orizzonte di questo viaggio. In questo senso tutto il genio di Incani: riuscire a trasportare fisicamente l’ascoltare in quella zona personale, profonda, intima e viscerale della nostra esistenza.
“Svegliami domani amore mio con l’arrivo del sole.”
Voto 7,5
Pubblicato il 24 Ottobre 2015 da Giovanni Antonio Alfano
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