Le piroette, i cambiamenti e Don Pasta nelle storie di Alessandro Mannarino.
Daniele Mazzotta e Gianfranco Esposito di Rockout incontrano il cantautore italiano al termine di un soundcheck, per una lunghissima intervista.

Scambiare due chiacchiere con un musicista che ti dichiara il piacere di rispondere alle tue domande, di discutere dei contenuti, delle sonorità scelte e delle storie che racconta nelle sue canzoni, di come potrebbero realmente cambiare le cose in un paese che preferisce il bavaglio alla libera circolazione delle idee ed accorgersi che il nostro tempo è terminato solo quando la tour manager si sbraccia per ricordargli che altri giornalisti sono in fila ad attenderlo...solo allora ci diciamo che quella era anche un'intervista. Abbiamo raggiunto Alessandro Mannarino alla fine di un soundcheck. Era di corsa, ma ci ha confessato che questi ritardi, così giustificati, lo rendono felice di continuare a scegliere questo lavoro. E che l'artista non è un maledetto e i cambiamenti, specie quelli personali, ti aiutano a vedere le cose come mai avresti fatto.
Perchè chiamarlo "Supersantos" questo secondo disco e non... "Super Tele" per esempio o addirittura "Tango"?
A.M: Il Super Tele era un pallone leggerissimo, tiravi e non sapevi mai da che parte andava. Il Supersantos aveva un peso, tiravi e andava in quella direzione. In questo senso io ho intrapreso un percorso, una precisa direzione. Ma Supersantos è solo il punto di partenza.
Il Tango era invece un pallone più pesante ed è il punto che voglio raggiungere, è un pò il paradiso verso cui voglio che vadano le cose che canto.
Che effetto ti fa essere partito dai locali e, in soli due anni, ritrovarsi all’Auditorium Parco della Musica di Roma a fare i conti con due sold out, passando per i vari "Parla con me", "Premio Gaber", "Premio Tenco" fino al Teatro Ariston?
A.M: La verità è che io non c'ho capito niente o quasi. E' successo tutto così, all'improvviso. L' effetto che fa è stupendo, ma la mia più grande preoccupazione è stare attento a non farmi prendere troppo da questo vortice. E non è facile. Anche se in fondo io sono rimasto sempre lo stesso di una volta, quello che suonava nei piccoli locali di periferia. Sono le persone attorno a me che sono cambiate...
Quando ho cominciato credevo che l'artista dovesse essere un pò maledetto, un po' folle, capisci? Dare un'immagine di sé “un po' così”. Poi quando ho cominciato a fare sul serio e mi sono ritrovato catapultato sui palcoscenici del premio Gaber, di Musicultura... beh lì ho capito che non era così e che quest'immagine nemmeno mi piaceva. Io voglio solo portare in giro la bellezza della vita, la felicità, la mia, quella che sento e tutto ciò che senti di dover dire veramente.
La mia musica non esprime la malinconica, ma vuole essere la musica del cambiamento, quel cambiamento che consente di scrollarti di dosso i pregiudizi e le catalogazioni che la società vuole per forza affibbiarti. Bisogna credere nel cambiamento e nella possibilità che le persone siano in grado di cambiare, altrimenti nulla avrebbe senso. Un "cattivo" non può essere sempre cattivo, bisogna concedergli la possibilità di cambiare, di diventare migliore. E poi, se non credi che le persone possano cambiare, come puoi illuderti di poter fare la rivoluzione.
L’Italia prima o poi si sveglierà o no? E’ un popolo che non ascolta o che non vuole farlo?
A.M: L'Italia è sedata, un po' come accadeva nei manicomi. Le persone venivano ingabbiate, rinchiuse e messe lì a tacere perché erano pazze. La migliore cosa era metterle a zittire perché ritenute inadatte; una tattica efficace per riuscire a sottrargli l'eredità. In Italia succede la stessa cosa: il nostro paese deve continuare ad essere addormentato per consentire a chi non lo ama di rubarne l'eredità.
C’è una persona che tu conosci bene e che a proposito di “Al Bar della Rabbia” prima e di “Supersantos” poi, dice: “Il primo era pieno di belle canzoni, di grandi intuizioni, ma sfilacciato e musicalmente incerto. Il secondo è coerente e ricco. Chi è questa persona che spende queste belle parole sul tuo conto?
A.M: Si, Don Pasta. Ho conosciuto Don Pasta in giro per i locali, quando uscivo a prendere una birra e mi catapultavo in uno dei locali della capitale. Lui, allora, passava la World Music. A me questa cosa ha cambiato la vita, ha cambiato il modo di vedere la musica e in particolare la mia musica, quella che da tempo avevo intenzione di fare. Con questa battuta ha tradotto perfettamente, in parole, le mie canzoni e quello che è successo in questi due dischi. Lo ringrazio tanto per le parole che ha speso!
“Questo disco è lì per rassicurarci che ci sono, ci saranno, si spera sempre, le eccezioni che infrangono le regole e dicono al mondo che le piroette, quel volteggiare leggero, passo di danza impertinente e sensuale, sia possibile. A te, Manna, che hai ricominciato a rifar battere il cuore delle strade di quartiere, ti chiedo di resistere, di continuare a viverle e da li seminare poesia”
A.M: Eh! E' forte come cosa, quella che dice Don Pasta. Io canto quello che sono, le storie. Don Pasta parla di piroette, quelle che permettono alle persone di girare, di ruotare, di non stare fermi e soprattutto di non incollarsi delle definizioni addosso, di non cucirsi a vita degli aggettivi che non le riguardano. E' un po' quello che dicevamo prima. Non è vero che se nasciamo cattivi siamo costretti a rimanere tali. Non dobbiamo accettare passivamente quella formula codardo-codardo, cattivo-cattivo o buono-buono che vogliono attribuirci. Avere fiducia in noi e nei cambiamenti ci aiuta tanto.
Ascolti poca musica italiana: Lasha De Sena, Tina Riven e… Bjork. Cosa ti piace di lei e cosa c'entra con quello che fai?
A.M: Si, a me piacciono molto questi artisti. Mettevo i dischi di Trentemoller e di Bjork quando ho cominciato a suonare nei locali. Questo è un tipo di elettronica che mi piace.
Tevere Grand Hotel, uno dei pezzi che a me piace tanto! Tra l’altro tu ne hai scritto uno spettacolo teatrale e ti hanno chiesto di pubblicarne un libro. Ci stai già lavorando?
A.M: Si, Tevere Grand Hotel è uno spettacolo teatrale ed è in programma di farlo diventare un libro. Ma non è l'unico progetto che ho in cantiere. Il fatto è che sono pigro e alla fine riesco a fare poco rispetto a ciò che vorrei. Ho cominciato a scrivere anche il soggetto per un film e mi farebbe piacere realizzarlo, ma la pigrizia è parte di me e non lo so quando lo realizzerò.
Intervista di Daniele Mazzotta
Foto di Gianfranco Esposito
Pubblicato il 11 Luglio 2011 da Daniele Mazzotta
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